IL “MANICOTTO DI MANDATORICCIO” DIVENTA DE.CO.

di Marilia Argentino

Sabato 28 agosto 2021 ha avuto luogo, nella pittoresca cornice di Piazza Duomo di Mandatoriccio, il Convegno sul tema della De. Co., con la presentazione del prestigioso marchio ottenuto dal “Manicotto di Mandatoriccio”, a cui hanno preso parte le Autorità istituzionali ed esperti di settore, tra cui noi dell’Accademia delle Tradizioni Enogastronomiche di Calabria.

L’evento, proseguito nella giornata di domenica 29 agosto con il laboratorio esperienziale, la degustazione del Manicotto e i festeggiamenti serali, è stato patrocinato e finanziato dalla Regione Calabria ed è figlio di un progetto ideato, sviluppato e fortemente voluto dal Comune di Mandatoriccio e dalla blogger e sommelier Giulia Cosenza, Presidente dell’Associazione “Il Calice di Ebe”, in collaborazione con la Pro Loco e con il prezioso e fondamentale contributo del “Coordinamento Donne”, un folto gruppo di veraci mandatoriccesi, ben rappresentate dalla genuina e solare signora Maria, che si occupano di mantenere vive e integre le tradizioni culinarie e artigianali locali, tramandandole di madre in figlia, di nonna in nipote.

In fondo, è soprattutto merito loro se adesso Mandatoriccio può vantare un tale importante riconoscimento ufficiale.

Come ha osservato il sindaco, l’avv. Dario Cornicello, il Manicotto è un prodotto esclusivo di Mandatoriccio; è un dolce tipico della tradizione locale, che nemmeno gli abitanti dei paesi limitrofi conoscono e sanno realizzare. Il primo cittadino auspica, pertanto, che quello di oggi sia solo il primo passo di un percorso che conduca a rendere nazionale, o finanche internazionale, la fama di questo piccolo gioiello della cucina mandatoriccese.

La De. Co., Denominazione Comunale, nasce infatti con l’intento di valorizzare il prodotto locale, contrapposto al mercato globalizzato (dove non vi è differenziazione di sapori e odori), grazie a un’intuizione del giornalista Luigi Veronelli, come ha ricordato l’assessore Saverio Verrina. Il professore ha poi concluso il suo intervento ringraziando lo storico e documentarista Franco Emilio Carlino per aver omaggiato il suo paesino natale con un lungo articolo denso di dettagli narrativi, cenni storici e particolareggiate descrizioni in grado di evocare immagini suggestive ed il dolce fascino della semplicità.

La differenziazione, implicita nel concetto di tipicità, è un aspetto ben evidenziato anche dal CEO e Founder di “lavoroeformazione.it” e “lavorareincalabria.it” Antonio Andreoli, che per imprimere ulteriore enfasi al suo discorso ci ha letto un’intervista rilasciata dal celebre imprenditore Michele Ferrero a pochi mesi dalla sua morte, nella quale racconta di quell’idea di originalità da cui è partito per creare l’amato e famosissimo Ovetto Kinder.

L’Accademia si trova perfettamente in linea con questo pensiero, tant’è vero che essa è nata proprio con l’obiettivo di ridare lustro e valore alla tradizione enogastronomica della nostra terra, dopo il periodo del boom economico e dell’influenza imperante dei mass-media che contribuirono a diffondere nuovi stili di vita e abitudini alimentari più in sintonia con la moderna era della globalizzazione, relegando i prodotti autoctoni, tradizionali e legati alla terra e alle culture locali ad un posto di scarso rilievo, al gradino riservato a ciò che deve essere considerato arretrato ed obsoleto.

Ecco cosa ci spinge a recuperare ed a valorizzare le tradizioni enogastronomiche calabresi: il desiderio di ricomporre i pezzi di un mondo rurale ignoto ai più e di far rivivere e far conoscere, in particolare alle nuove generazioni, il patrimonio della tradizione culinaria e la cultura millenaria di una terra che ha visto l’alternarsi di grandi e importanti civiltà mediterranee a momenti di difficoltà e crisi identitarie.

L’Accademia nutre profondo interesse verso tutti i prodotti legati alla tradizione, ma in special modo verso quei piccoli tesori di nicchia che escono pian piano allo scoperto, dopo essere stati a lungo in ombra.

Questo è proprio il caso del “Manicotto di Mandatoriccio”, che ha meritatamente ottenuto l’iscrizione all’albo della De. Co. grazie alla determinazione di Giulia Cosenza che, per prima, ne colse il potenziale dopo avergli dedicato nel 2019 un articolo sul suo blog “Il Calice di Ebe”.

I manicotti di Mandatoriccio derivano il loro nome dall’accessorio di origine nordica utilizzato per scaldare le mani e proteggerle dal freddo, ma secondo le massaie del luogo il nome deriverebbe dal fatto che i manicuotti sono “avvolti nelle mani” e poi fritti.

Essi nascono come dolci tipici del Natale, ma venendo preparati in ogni occasione e ricorrenza, acquisiscono nel tempo la definizione di “dolci delle feste”, dato che qualsiasi gioioso avvenimento, qualsiasi lieto evento diviene buono per cucinare e gustare i manicotti.

Giulia ci ha minuziosamente descritto la ricetta tipica di questa prelibatezza, illustrandoci il complesso procedimento compiuto per realizzarla.

Occorre innanzitutto impastare la farina (in parte 00 e in parte di semola) con il lievito madre (la lavatina) disciolto in acqua, aggiungendo in seguito le uova, l’olio e il vermouth (o vino bianco dolce), la cannella e i chiodi di garofano, fino ad ottenere una pasta compatta.

Dopodiché, una volta fatto lievitare bene l’impasto, preparati dei filoncini e tagliati a fette, si passa alla creazione vera e propria dei manicotti: si lavorano, appiattendole, le fette di pasta lievitata, si prendono una ad una le singole strisce, si chiudono avvolgendole attorno alla mano e si dà loro forma passandole sul lato di un cestino, così da imprimerci sopra il segno delle canne.

Successivamente, i manicotti vengono fritti, immersi lentamente in olio portato a giusta temperatura. Qui arriva la parte più complicata e peculiare di questi dolci: essi devono essere immediatamente girati con uno spiedo di legno o di canna per evitare che perdano la loro forma e quando assumono un bel colore dorato, appaiono gonfi e galleggiano nell’olio, significa che sono pronti per essere tolti dal fuoco.

Dopo averli fatti sgocciolare per bene in un recipiente, possono essere assaggiati direttamente così oppure passati nello zucchero e cannella prima di essere serviti.

Come detto in precedenza, non esistono nel circondario prodotti simili, ma dalle ricerche effettuate da Giulia emergono alcuni esempi di pasticceria italiana ed estera che possono vagamente ricordare i manicotti di Mandatoriccio. È il caso dei macallè o cartocci siciliani, una sorta di brioches fritte farcite con ricotta o crema pasticciera e ricoperte di zucchero, o ancora del manicotto di Boemia, diffuso in Repubblica Ceca, Slovacchia ed Ungheria, e del manicotto di Purim, dolce tipico della tradizione ebraica.

Creatore del logo, che è poi il marchio, del “Manicotto di Mandatoriccio” De. Co. è Francesco Russo, web marketing specialist e webmaster. Il logo presenta una cornice esterna blu che racchiude una spirale dorata su sfondo bruno. Il bordo blu richiama il mare, con il quale i mandatoriccesi sentono un legame viscerale, mentre l’area interna rappresenta un entroterra che conserva una storia lunga quasi quattro secoli ed una cultura fondata sul sentimento di appartenenza, sui rapporti di buon vicinato, sulla fiducia reciproca, sulle manifestazioni di gentilezza e i gesti di cortesia, su quel senso di comunità che, come una spirale, avvolge e connette tutti in un caldo abbraccio collettivo.

Francesco, la cui sensibilità gli ha permesso di cogliere l’essenza della generosità mandatoriccese, di scavare fino al cuore di questo splendido popolo, ha così voluto rendere omaggio a quello che considera un po’ il suo paese adottivo, riconoscendo negli abitanti di questo antico borgo una ormai rara propensione al dono: al dono di sé e di ciò che si riesce a realizzare con le proprie mani.

Ed è così che il Manicotto si è guadagnato un posto d’onore nella tradizione gastronomica mandatoriccese, avendo sempre rappresentato il simbolo di come si possa donare qualcosa ai propri cari nelle occasioni di festa, di come si possa creare qualcosa di ricco ed elaborato pur partendo dagli ingredienti della cucina povera.

Ma, come evidenzia lo stesso Russo, è necessario che chi dispone di doti, mezzi e volontà imprenditoriale si adoperi affinché il marchio appena nato diventi una marca, un brand, una via che apporti benefici materiali.

Anche per l’Accademia, infatti, tutelare e valorizzare un bene significa non solo conservarlo attraverso il tempo, ma soprattutto mettere in atto iniziative che rappresentino un fattore di sviluppo economico e sociale e che, in ultima analisi, promuovano turismo e incrementino la ricchezza del territorio.

Sul medesimo filone si pone l’autorevole parere del dott. agronomo Mario Reda, che suggerisce qualche idea da cui prendere spunto per aumentare il valore di una De. Co. Si potrebbero, ad esempio, proporre altre varianti di un determinato prodotto, per cui nel caso specifico del Manicotto di Mandatoriccio si potrebbe pensare anche ad una versione al forno del dolce, a fianco a quella fritta originaria.

Il dott. Reda ha chiarito come l’iscrizione all’albo De. Co. non sia sinonimo di garanzia di qualità, ma indichi esclusivamente un’origine comunale. Per far sì che un marchio De. Co. assurga al livello di una certificazione di qualità, bisogna registrarsi all’elenco dei produttori,  frequentare corsi che rilascino qualifiche, e soprattutto investire in attività d’impresa che trasformino un dolce preparato durante le feste in opportunità di lavoro e guadagno.

Seguendo pedissequamente un Disciplinare di produzione, inoltre, si avvalora l’autenticità del prodotto. Sarebbe importante, allora, specificare il tipo di farina da utilizzare (meglio la 0 della 00, poiché meno raffinata, e ancora meglio una farina di semola ottenuta da varietà di grano locali) e il tipo di olio (non di semi, ma di oliva, preferibilmente EVO, vista la sua resistenza alle alte temperature, con un occhio di riguardo alle cultivar nostrane, come la Dolce di Rossano).

Lungi dal ridursi ad essere una semplice sagra di paese, la Festa del Manicotto di Mandatoriccio deve fungere da catalizzatore per future attività imprenditoriali.

Molti comuni calabresi sono riusciti ad ottenere delle De. Co. (addirittura, il piccolo Comune di Longobardi ne possiede ben sette!), ma solo in pochi hanno dimostrato l’abilità di far fruttare economicamente il marchio. Tra questi, possiamo citare il caso del pomodoro di Belmonte. Spesso, poi, accade che siano aziende estere a speculare e far fortuna con i nostri prodotti, segno che ancora non riusciamo, purtroppo, a sviluppare efficaci ed efficienti strategie di marketing. Basti pensare all’olio essenziale di bergamotto venduto all’estero a migliaia di euro.

Un altro aspetto su cui noi calabresi dovremmo lavorare, secondo la lucida analisi del dott. Reda, riguarda la nostra mentalità tendenzialmente individualista, che ci stimola a voler primeggiare ed eccellere singolarmente, senza prevedere e comprendere la forza scaturita dalla rete, dal far gruppo, dall’unione di molteplici risorse e potenzialità.

La collaborazione tra le realtà presenti sul territorio sarebbe altamente vantaggiosa, offrirebbe un più ampio e variegato ventaglio di proposte enogastronomiche da abbinare tra loro, che si tratti di vini, dolci, salumi o formaggi. Pensiamo al pane di Cerchiara, al peperone di Roggiano Gravina, all’aglio dolce di Laino, al pomodoro di Belmonte, alla cipolla bianca di Castrovillari, allo stesso Manicotto di Mandatoriccio e a come questo ricco paniere di beni alimentari potrebbe essere promosso e valorizzato sullo sfondo di una terra, la Calabria, che riuscirebbe a trovare proprio nel settore enogastronomico ed agroalimentare quella rivalsa a cui aspira da tempo.

Siamo sempre stati considerati un “pesce piccolo” al cospetto dei giganti dell’industria alimentare italiana ed europea, ma, come ricorda l’Andreoli in uno dei suoi incisivi aneddoti, a volte il pesce piccolo riesce a mangiare il pesce più grande. Può farcela perché più veloce, ma nella maggioranza delle situazioni perché parte di una comunità, di un gruppo. Dopotutto, anche un elefante, per quanto grosso e imponente, se vede uno sciame d’api ha paura e scappa.

Ci auguriamo vivamente che eventi come la Festa del Manicotto di Mandatoriccio ci rendano più consapevoli delle risorse della nostra terra e del potenziale a cui potremmo attingere per dare alla nostra gente la speranza di un futuro migliore, che non veda i giovani fuggire ed emigrare in cerca di lavoro, ma che offra a tutti la possibilità di vivere dignitosamente nel tanto caro luogo natìo.

Negli ultimi anni stiamo assistendo ad un massiccio turismo di ritorno, con persone di nazionalità straniera che vengono qui mossi dal desiderio di scoprire o riscoprire la terra d’origine dei loro avi, e ad un altro tipo di turismo che sta prendendo sempre più piede, il turismo enogastronomico, che fa della Calabria una meta assai ambita, che offre un bouquet di pietanze e alimenti capaci di far gola e memoria.

Sono dati che ci fanno ben sperare e che indurrebbero a prospettare rosei scenari futuri.

Le materie prime ci sono, gli strumenti anche; dobbiamo solo trovare dentro di noi quella tenacia che sovente viene a mancarci, vinta dalla rassegnazione o dal timore di non farcela.

Abbiamo eccellenze enogastronomiche di cui andar fieri, così come incantevoli paesaggi naturali, dal limpido e azzurro mare alle verdi e lussureggianti pianure, dalle dolci colline alle aspre e selvagge montagne, e splendidi centri storici, custodi di culture millenarie e teatri di importanti civiltà. Ciò che offriamo è un’esperienza a 360°, che accarezza tutti i sensi, non solo quello del gusto.

Perché se è vero, come afferma Francesco Russo, che assaporare il tartufo di Pizzo non sarebbe la stessa cosa senza star seduti su quella terrazza ad ammirare le acque blu di un panorama mozzafiato, è anche vero che ciò che rende la degustazione del Manicotto di Mandatoriccio un’esperienza sensoriale unica, in grado di scaldare il cuore e di imprimere indelebili tracce di memoria, è soprattutto il fatto di trovarsi nella piazza di un piccolo borgo antico, riparati dalle mura del Castello Feudale e dalla seicentesca Chiesa matrice dei Santi Pietro e Paolo, attorniati da gente genuina, simpatica e accogliente e coccolati dai sorrisi amorevoli di nonne, mamme e figlie felici di creare qualcosa di veramente buono. Semplicemente, felici di donare.