La Nduja, souvenir di Calabria.

di Giorgio Durante

Sono circa 20 anni che trascorro le  vacanze sulla costa degli “dei” e per la precisione a Santa Domenica di Ricadi che dista non più di sei-sette km da Spilinga  è lì che ho scoperto la Nduja e devo dire la verità vent’anni fa era un insaccato poco conosciuto, poco conosciuto perfino in Calabria e quindi completamente sconosciuto al di fuori dei confini regionali. Mai si poteva immaginare che quell’insaccato piccantissimo e composto da più di 50% di grassi, il cui consumo era limitato agli uomini veri e forti, diventasse l’ambito e ricercato souvenir di Calabria, con tanti estimatori anche tra il gentil sesso. La Nduja le cui origini si vogliono far risalire ai tempi di Gioacchino Murat approdato in quel territorio, dove poi fu giustiziato a Pizzo Calabro, pare portò lui dalla Francia un salume che similmente fosse denominato.  Molto più verosimilmente come ho avuto modo di scrivere in un mio recente articolo, la Nduja trova il suo omologo in un salume spagnolo denominato Sobrasada de Mallorca. In ogni caso oggi è uno dei quattro o cinque salumi spalmabili censiti in Italia, che ha origine  in una zona molto, molto limitata che comprende un po’ di comuni circostanti il monte Poro, e che ha il suo epicentro in Spilinga, paese di poche anime meno di 1500. Negli ultimi venti anni la Nduja ne ha fatta di strada, è diventato il salume icona e souvenir di Calabria, con tanto di accessori che vanno dalla palettina allo scaldanduja di argilla. Nel corso di questi 20 anni ho studiato il fenomeno e ho cercato di carpire i segreti più reconditi di questo prodotto, che rimane nella materia prima povero, poverissimo, e le ragioni del suo successo, ho incontrato produttori giovani e rampanti, ho interrogato vecchi dal viso solcato da profonde rughe che meglio di altri hanno saputo raccontare la vera storia e soprattutto l’evoluzione di questo insaccato, e ogni volta che ritorno in questi luoghi imparo qualcosa di nuovo, in questo modo ho visto crescere il fenomeno Nduja, da che era un salume che insieme a soppressate, salsicce, capicolli  rappresentava una parte dell’alimentazione delle famiglie contadine, che così macellando il maiale allevato con finalità di puro sostentamento autarchico, sopperivano alle necessità energetiche. La Nduja oggi è senz’altro un prodotto regionale, i grandi numeri li fanno i salumifici industriali della provincia di Cosenza, ma la sua ricetta e la sua lavorazione riserva ancora dei segreti tanto più se ti allontani dal cratere del monte Poro. In una chiacchierata fatta qualche giorno fa con Francesco Fiamingo Presidente del consorzio della Nduja, che con la caparbietà tipica di quelli che vivono in quel territorio, insegue una certificazione comunitaria già peraltro in itinere, l’IGP, ho appreso altre informazioni e grazie a persone come lui disponibili e aperte che si promuove un territorio e si fa conoscere un prodotto. Un buon contributo alle mie conoscenze lo ha dato lui che già in famiglia  da quando aveva otto anni, si adoperava a manipolare le carni del maiale, profondo conoscitore di questo straordinario insaccato, da lui mi sono fatto raccontare come mai proprio in quel posto si facesse questo salume mentre già a pochi chilometri di distanza ma anche in tutto il resto della Calabria  tanti altri  facevano un insaccato diverso, che si chiamava NNuglia che è una specie di salame pezzente  fatto con cuore,  polmoni e frattaglie e spesso anche cotiche bollite tritate e insaccate con tanto peperoncino, finocchio e altre spezie.  Proprio a Spilinga qualcuno ha invece iniziato a triturare il tutto molto più finemente e pian piano ha iniziato a migliorarne in qualche modo la qualità non utilizzando più le frattaglie  ma grassi nobili, come le pancette, il guanciale e i pancettoni integrando poi l’impasto con l’aggiunta di carni più grasse, più muscolose.

L’affumicatura, gradita a molti palati e la stagionatura breve ne hanno determinato in parte il successo commerciale. Il trito spiega sempre Fiamingo è realizzato in un unico passaggio, pancetta, peperone, peperoncino e carne, la percentuale di peperone e peperoncino intorno al 30% dell’impasto totale,  si raccomanda Francesco Fiamingo peperone e peperoncino secco non fresco, non salsa di peperoni, altrimenti si creano alterazioni che provocano fermentazioni e acidità anomale, le quali possono anche scaturire in epiloghi definiti scherzosamente esplosivi.  Tutto questo, processi e tempi di stagionatura  non sono ancora ben codificati e l’intervento del consorzio stesso non può essere cogente. La Calabria ha oggi la necessità di esportare qualità, ha la necessità di farsi conoscere in tutta Italia e in tutto il mondo per la qualità delle sue eccellenze enogastronomiche, ne ha oltre 280 registrate al Ministero delle politiche agricole e forestali. E’ necessario a questo punto che anche il mondo della Nduja, che essendo diventato business attrae anche avventurieri dell’agroalimentare con pochi scrupoli, abbia a darsi delle regole che tuteli le produzioni dando indirizzi precisi come è il disciplinare di produzione adottato dal Consorzio della Nduja di Spilinga, tutto ciò è molto importante perché proprio la Nduja essendo diventato un souvenir, diventa ambasciatore e immagine della Calabria fuori dai confini regionali, ciò significa che si attivano possibilità di commercializzazione in altri territori, e proprio perché biglietto da visita deve essere qualitativamente eccellente, proprio le qualità intrinseche di questo insaccato ne determineranno un importante crescita di mercato perché è un salume giovane, curioso e soprattutto versatile da utilizzare sulla pizza, nella pasta al pomodoro, sui crostini, la può degustare con il pane e in cento altri modi. La Nduja in questo modo oltre a essere considerato souvenir, diventa anche spot delle eccellenze enogastronomiche regionali e di promozione turistica dell’intera regione.