LE CASTAGNE DI CALABRIA, DA “CIBO DEI POVERI” A PRODOTTO D’ECCELLENZA

di Marilia Argentino

Con l’arrivo dei primi freddi e con le giornate che divengono via via più corte e buie, dalla natura riceviamo un frutto saporito e nutriente, una dolce coccola autunnale da gustare in compagnia. Cosa c’è di meglio, infatti, nelle frescoline sere d’ottobre, che stringersi insieme ad amici e parenti attorno al tavolo e sgranocchiare caldarroste?

Come ognuno di noi avrà sperimentato nella vita, spesso ciò che all’apparenza può sembrare temibile e minaccioso nasconde, in realtà, un’essenza buona e virtuosa. Ed esattamente così, il riccio ricoperto di spine e aghi pungenti racchiude in sé un frutto dolce, pastoso e ricco di qualità positive.

Il castagno appartiene alla famiglia delle Fagaceae, è molto longevo (tanto che alcuni esemplari raggiungono la veneranda età di 400 anni!) ed è molto diffuso nelle zone montane della Calabria, specialmente nelle aree pre-silane delle province di Cosenza e Catanzaro.

La Calabria è la seconda regione italiana, dopo la Campania, nella produzione annuale di castagne.

Importate probabilmente durante la colonizzazione ellenica, conobbero la loro massima diffusione negli anni della Prima Guerra Mondiale, quando vi era carestia un po’ ovunque e proprio la farina di castagne, detta appunto “il pane dei poveri”, permise a tanta gente di sopravvivere.

Da cibo dei poveri a prodotto d’eccellenza, oggi le Castagne di Calabria vantano il riconoscimento P.A.T. (Prodotti Agroalimentari Tradizionali) e vengono utilizzate nella creazione di piatti ricercati e raffinati.

Ciò che principalmente le contraddistingue è la loro spiccata dolcezza, unita ad una consistenza morbida e farinosa. Sono facilmente sbucciabili e presentano un alto valore nutrizionale. La presenza di carboidrati rappresenta un importante serbatoio di energia, la ricchezza in minerali e vitamine, tra cui la B9 altrimenti detta acido folico, apporta preziosi benefici salutari (dando, tra le altre cose, un aiuto essenziale alle donne in gravidanza per il corretto sviluppo del feto), l’elevato contenuto di fibre regola i tassi di colesterolo nel sangue e aumenta il senso di sazietà. Questi frutti sono inoltre privi di glutine, il che li rende, come la farina da essi ricavata, adatti a chi soffre di celiachia o di intolleranza al glutine.

In base al decreto MIPAAF del 25/02/2020 sono cinque le varietà di castagno calabrese iscritte nel Registro Nazionale delle Varietà delle Piante da Frutto: Arturo, Giacchettara, Mamma, ‘Nserta Calabrese (sicuramente la più diffusa sul territorio regionale) e Riggiola Calabrese.

Ma le cultivar nostrane, in realtà, sono molte di più.

Le aree di coltivazione del castagno sono distribuite prevalentemente nelle province di Cosenza e Catanzaro, ma possiamo annoverare anche alcune zone delle province di Crotone, Reggio Calabria e Vibo Valentia.

Nello specifico, l’areale di coltivazione del cosentino corrisponde al versante interno della Catena Costiera, con i comuni di San Donato di Ninea, Mendicino, Carolei, Rende e altri, ai declivi pedemontani della Sila Greca, con i comuni di Corigliano-Rossano, Acri, Luzzi, Longobucco, Campana e al piano submontano della Sila Grande, nel quale rientrano i comuni di Aprigliano, Spezzano della Sila, Rogliano, Carpanzano, Parenti, Bianchi, Panettieri, Colosimi.

La zona di coltivazione del catanzarese ricade essenzialmente nel comprensorio del massiccio del Reventino, costituito dai comuni di Cicala, Carlopoli, Decollatura, Serrastretta, San Pietro Apostolo, Platania, Conflenti, Palermiti, Sorbo San Basile. Qui, infatti, nascono molte delle varietà di castagno calabrese: Carigliettara (ottima per le caldarroste), Corvise (utilizzata per la produzione di castagne secche da trasformare in farina), Fidile, Lucente (elevata pezzatura e frutti gustosissimi che possono essere consumati freschi o trasformati in “pastille”, ossia castagne secche, o “rusarelle”, ovvero castagne secche cotte al vapore, di ottima qualità), Giosefatta (tra le cultivar più saporite dell’area del Reventino, assieme alla Lucente), Milanese, ‘Nserta Palermiti o ‘Nserta Tardiva, Palermitana (il buon sapore di questo ecotipo porta alcuni a definirlo il “Marrone calabrese”), Petraniara, Petraiellu (il cui nome probabilmente deriva da Pietro Aiello, colui che all’inizio del secolo scorso la introdusse nell’areale del Reventino portando delle marze dalla zona silana; è una varietà molto interessante perché dimostra una notevole resistenza agli attacchi di Fersa, la Mycospherella maculiformis, e riesce a mantenere il fogliame verde anche dopo la caduta delle castagne ed in ambienti molto nebbiosi ed umidi), Petrise, Pompa, Rizzipuglia (ecotipo che deve il suo nome ai ricci che si presentano piuttosto morbidi, “pugli” in dialetto locale), Stefanocerra, Vallanara (grazie all’elevata dolcezza della polpa è molto apprezzata come castagna bollita, in dialetto locale “vallano”), Veva o “du Vevu” (da considerarsi, secondo alcuni, un ceppo della Corvise.

Nel reggino le cultivar più conosciute sono la Minuta di Mammola e la ‘Nserta di Mammola, che purtroppo presentano un’alta sensibilità alle avversità biotiche e abiotiche.

Tra gli altri ecotipi calabresi ricordiamo la Curcia o Selvatica, la Nicotera, la ‘Nserta Rossa, la Russa o Rossa (dal colore rosso mattone del pericarpo), la Riggiola Americana, la Valeriana, la Rusellara, la Ruvellise, la Salernitana, il Marrone di San Donato, la Cirospaca, la Spatacciola, la Nzertolitana, l’Ansolitana, la Mancina, la Carmelitana, la Succannara.

Che siano utilizzate per produrre farina, per preparare torte invitanti e prelibate, che vengano lesse o fatte allegramente scoppiettare in una padella bucherellata per divenire caldarroste, le castagne ci regalano quel caldo piacere che rende l’autunno una stagione particolarmente attesa.

Forse l’unica pecca è che il tempo della raccolta dura troppo poco, appena due mesi, da fine settembre a novembre. Ma, chissà, magari è proprio il fatto di non averle per gran parte dell’anno a farcele amare e desiderare così tanto.