Contaminazione Ambientale e maggiore diffusione del virus Covid-19: Esiste un rapporto diretto?

A cura di Mara Tommasi e Vitalia Murgia – Area Ambiente e Salute FIMP

La diversa capacità di diffondersi del COVID-19 nella popolazione, con marcate differenze di morbilità e letalità in varie parti di Italia fa riflettere. Molti medici e scienziati di differenti branche e discipline stanno analizzando questo fenomeno e cercando di individuare i vari elementi che possono favorire la diffusione del virus COVID-19. In proposito sono stati pubblicati in questi giorni alcuni documenti relativi al rapporto tra l’inquinamento ambientale e la pandemia che hanno avuto una notevole risonanza nei media e hanno fatto discutere esperti e scienziati. Premettiamo che nonostante non ci siano evidenze scientifiche assolute a conferma del possibile legame tra livelli di inquinamento ambientale e l’aumentata diffusione dell’epidemia attualmente in corso, e, quindi, non sia possibile al momento trarre conclusioni definitive, i sospetti sono forti. Vale la pena, pertanto, di approfondire l’argomento e di informarsi anche se sinteticamente sulle posizioni delle varie società e degli esperti che si sono espressi.
Il WWF in un interessante pezzo dal titolo: “Le foreste sono il nostro antivirus ma le stiamo distruggendo” (1) sostiene che esista un legame stretto tra malattie emergenti (SARS, AIDS , Ebola, Influenza aviaria , influenza suina, COVID 19), cambiamenti ambientali e perdita di biodiversità. Secondo il WWF il cambiamento di uso del suolo e la distruzione di habitat naturali come le foreste sono in parte responsabili dell’insorgenza di zoonosi emergenti. La distruzione di habitat naturali espone l’uomo a contatto con animali selvatici e con i loro virus che essendo facilmente soggetti a mutazioni si adattano bene e velocemente a nuove condizioni e a nuovi ospiti, uomo incluso. Ad esempio, nelle foreste incontaminate dell’Africa occidentale vivono alcuni pipistrelli portatori del virus Ebola, poi trasmesso agli umani. In una foresta naturale, ricca di biodiversità i virus presenti rimangono in equilibrio con il loro ambiente. La rottura di questo equilibrio ne favorisce invece il passaggio all’uomo (2).
In un position paper pubblicato da SIMA (Società Italiana di medicina ambientale) si analizza il rapporto tra il livello di particolato e la diffusione del virus nella popolazione. Secondo questo documento il particolato atmosferico può essere un vettore di trasporto per vari contaminanti, inclusi i virus. Il particolato inoltre potrebbe essere un substrato nel quale il virus potrebbe rimanere vitale nell’ambiente per ore o giorni. L’aumento della temperatura e le radiazioni solari favorirebbero l’inattivazione del virus, mentre l’umidità ne favorirebbe la diffusione. Queste affermazioni sono basate su studi che riguardavano precedenti infezioni virali (influenza aviaria, Virus respiratorio sinciziale, morbillo). Gli autori del position paper hanno valutato una possibile correlazione tra i superamenti dei livelli limite di PM 10 (50 µg /m3) rilevati da ARPA nelle varie province ed il numero di casi di infezione da COVID-19. Secondo gli autori le elevate concentrazioni di PM10 in alcune province del Nord Italia nel periodo 10-29 febbraio potrebbero aver esercitato un’azione di boost, cioè di impulso alla diffusione dell’epidemia, nell’area della Pianura Padana (3).
Anche il direttore di Greenpeace Italia, fisico, ricercatore in campo ambientale ed energetico, ha esplorato la possibile relazione tra la pandemia COVID-19 e l’inquinamento atmosferico (4). A proposito del paper SIMA osserva che la correlazione fatta tra i superamenti dei limiti per il PM10 nelle centraline di alcune città e il numero di ricoveri da Covid–19 si basa su un numero molto limitato di osservazioni e quindi deve essere ulteriormente verificata, mentre l’ipotesi di base, cioè che il particolato fine faccia da vettore per altri inquinanti – è ben nota e dimostrata con certezza per altri agenti inquinanti come gli idrocarburi policiclici aromatici (vengono rilasciati dalla combustione di carbone, petrolio, benzina, rifiuti, tabacco e legno). Pertanto, può essere perfettamente plausibile ipotizzare che condizioni di inquinamento persistente dell’aria, con elevati picchi di concentrazione di polveri sottili e altri inquinanti, possano rappresentare un fattore incentivante il diffondersi di una epidemia. L’inquinamento potrebbe agire sia come possibile veicolo che amplifica la diffusione del virus sia come fattore di stress cronico che potrebbe rendere più vulnerabile la popolazione agli effetti dell’epidemia. Allo stato attuale non si è in grado di quantificare esattamente il peso di questi fenomeni nella situazione italiana.
Sempre a proposito del documento SIMA, Carlo Modonesi (ISDE Italia) propone una riflessione critica sui contenuti del documento e evidenzia vari limiti nei ragionamenti e nelle correlazioni fatte dagli autori del documento. Secondo Modonesi gli autori forniscono informazioni tratte dalla letteratura e dati raccolti ad hoc non sempre chiari. Le ipotesi espresse non sono confermate da uno studio scientifico e non è dimostrato che le due variabili considerate (livello di inquinamento e numero di contagiati) abbiano una correlazione statisticamente significativa. Questa ipotesi può rappresentare uno stimolo a studi più approfonditi, dato che per altre patologie è stata dimostrata una correlazione con i livelli di inquinamento atmosferico. Modonesi sottolinea comunque che la necessità segnalata dagli Autori di una sensibile riduzione dell’inquinamento atmosferico è assolutamente condivisibile (5).
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In assoluta controtendenza rispetto al documento SIMA è un gruppo numeroso di ricercatori della IAS (Società italiana di areosol) che valuta come parziali e premature le affermazioni del position paper, dato che le conoscenze allo stato attuale sono ancora molto limitate e quindi questi dati dovrebbero essere interpretati con cautela. Le alte concentrazioni di PM aumentano la suscettibilità a malattie respiratorie croniche e cardiovascolari e questo potrebbe essere un ulteriore fattore di rischio per chi contrae l’infezione da coronavirus. Non è però attualmente confermato che il particolato atmosferico rappresenti un veicolo di trasporto del virus come affermato da SIMA. Non è ancora dimostrato che le basse temperature e l’elevata umidità atmosferica tipiche del Nord Italia siano strettamente correlate alla sopravvivenza del virus e ne facilitino la sua diffusione nell’ambiente (6).
Il dibattito si è spostato anche su prestigiose riviste estere. Fabrizio Bianchi, responsabile dell’unità di epidemiologia ambientale dell’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa, in una lettera di risposta ad un editoriale sul British Medical Journal, argomenta il problema e informa su una proposta di ricerca al Consiglio Nazionale delle Ricerche per studiare le relazioni tra inquinamento atmosferico e trasmissione virale nella popolazione umana, con l’obiettivo di fornire prove chiave sul fatto che l’inquinamento atmosferico faciliti il trasporto virale e quindi il contagio inter-umano (7).
Mentre si dipanava la discussione si è osservato un risvolto positivo dei provvedimenti di distanziamento sociale adottati per ridurre la diffusione del virus: la diminuzione delle emissioni inquinanti come segnalato anche dal satellite Copernicus Sentinel-5P dall’Agenzia Spaziale Europea (ESA). Il satellite ha recentemente mappato l’inquinamento atmosferico in Europa e Cina e rivelato un calo significativo delle concentrazioni di biossido di azoto, in coincidenza con le rigorose misure di quarantena. Nuovi dati, basati sulle osservazioni del satellite, stanno mostrando forti riduzioni delle concentrazioni di biossido di azoto in diverse città importanti d’Europa, tra cui Parigi,
Madrid e Roma (8).

COMMENTO
Che messaggi possiamo portare a casa da questa sequenza di documenti, in alcuni casi anche in contraddizione tra loro? Il
cambiamento di uso del suolo e la distruzione di habitat naturali come le foreste sono in parte responsabili dell’insorgenza di zoonosi emergenti; stravolgere l’ambiente e modificare pesantemente la biodiversità può favorire il passaggio di virus all’uomo. L’ipotesi di base del paper SIMA, cioè che il particolato fine faccia da vettore per altri inquinanti è ben nota e dimostrata con certezza per altri agenti inquinanti come gli idrocarburi policiclici aromatici. I risultati, dello studio SIMA sono basati su correlazione semplice tra livelli di PM10 e numero di casi di Covid–19 per provincia, e necessitano di essere confermati e approfonditi con ulteriori studi con metodologia più evoluta che tengano conto anche della disomogeneità territoriale del tempo di propagazione virale. Le alte concentrazioni di PM aumentano la suscettibilità a malattie respiratorie croniche e cardiovascolari e questo potrebbe essere un ulteriore fattore di rischio per chi contrae l’infezione da coronavirus. Quindi un ambiente deteriorato può influenzare sicuramente la risposta dell’organismo alla infezione virale. Lo scenario drammatico di questa pandemia ci deve far riflettere sull’importanza del rispetto dell’ambiente in cui viviamo; infatti, anche se finora non è stata dimostrata una correlazione con la pandemia in corso, sappiamo per certo che molte patologie hanno una correlazione sicura con l’inquinamento. Potremmo concludere con le frasi di chiusura del documento di Modonesi:
“Avere cura dell’ecosistema significa preservare con tutti gli strumenti disponibili quel patrimonio irrinunciabile di ricchezza che garantisce salute, cibo e benessere all’intera umanità. Ogni comunità capace di guardare al proprio futuro deve essere capace di instaurare un rapporto con l’ambiente fondato sulla sostenibilità, come primo presidio per una vera prevenzione del rischio sanitario e come diritto a una vita dignitosa esteso a tutti gli esseri umani e non”.

BIBLIOGRAFIA
1. Le foreste sono il nostro antivirus ma le stiamo distruggendo. https://www.wwf.it/news/notizie/?52760/Le-foreste-sono-il-nostroantivirus-ma-le-stiamo-distruggendo 2. Coronavirus, Wwf: legame strettissimo con perdita di natura http://www.rainews.it/dl/rainews/articoli/coronavirus-wwf-legamestrettissimo-con-perdita-di-natura-0f798fb0-4162-4cbb-bb59-fa0e369f17d3.html
3. Relazione circa l’effetto dell’inquinamento da particolato atmosferico e la diffusione di virus nella popolazione
http://www.simaonlus.it/wpsima/wp-content/uploads/2020/03/COVID19_Position-Paper_Relazione-circa-l%E2%80%99effetto-dell%E2
%80%99inquinamento-da-particolato-atmosferico-e-la-diffusione-di-virus-nella-popolazione.pdf
4. Inquinamento dell’aria e pandemia da Covid-19: che relazione c’è? https://www.greenpeace.org/italy/storia/7135/inquinamentodellaria-e-pandemia-da-covid-19-che-relazione-ce/
2 di 3 27/04/2020, 10:58
5. INQUINAMENTO ATMOSFERICO E SARS-CoV-2.
https://www.isde.it/wp-content/uploads/2020/03/bozza-INQUINAMENTO-ATMOSFERICO-E-SARS-CoV-2_Modonesi_REVC.pdf
6. Informativa sulla relazione tra inquinamento atmosferico e diffusione del COVID-19 http://www.iasaerosol.it/attachments/article
/96/Nota_Informativa_IAS.pdf
7. Re: Air pollution and Covid19: how to compose the puzzle https://www.bmj.com/content/368/bmj.m627/rr-25
8. L’inquinamento dell’aria diminuisce nelle città di tutto il mondo – le mappe
https://epha.org/wp-content/uploads/2020/03/epha—linquinamento-dellaria-diminuisce-nelle-citt-di-tutto-il-mondo-le-mappe.pdf