KALÒ, IL BUONO E IL  BELLO DELLA CALABRIA MAGNOGRECA

Un’interessante iniziativa per trasformare le eccellenti materie prime calabresi in eccellenze di gusto e originalità

Si chiama Kalò, dal greco antico καλός che vuol dire “è bello”, nell’accezione erotica del termine, e trattandosi di un progetto sul cibo (e che cibo, parliamo di eccellenze della Magna Grecia calabrese) il nome è esemplificativo come pochi. Cosa ci può essere di più bello, erotico, amoroso e amorevole al contempo, del cibo – sostanze alchemiche che permettono la continuità della vita accompagnata al piacere di tutti i sensi, e perché no, anche dello spirito – che rappresenti e incarni la Bellezza? Ma καλός significa anche buono, e dove poteva originarsi un progetto del genere, se non nella Calabria, patria di quei figli di Ellade che nelle nostre fertili terre vollero rinnovare i fasti della loro madrepatria d’origine? A parlarci di questo visionario progetto, semplice nella logica conseguenzialità per cui è nato, ma ardito per i tempi in cui vede la luce, è Francesco Pucci, presidente APCI Calabria (Associazione Professionale Cuochi Italiani) che, alla domanda sull’origine di Kalò, esordisce: “La mia filosofia di vita è, spesso, quella di  fermarmi a sostare sulla riva, non con atteggiamento passivo, ma per osservare e cercare di capire perché accadono alcune cose”.

L’abbrivio è nello stile del Pucci, chef con conoscenze e pratiche olistiche legate alla gastronomia, che così prosegue: “mi sono spesso domandato perché ogni tanto, per i prodotti delle nostre aziende (prodotti di nicchia, ovviamente, ed eccellenze nel senso letterale del termine, ndr) ci sono dei blocchi, oltre i quali è difficile andare oltre. Faccio un esempio: se di una certa materia prima produco tot quantità, una parte riuscirò a venderla, ma il restante? Come utilizzare questo surplus e soprattutto come mantenere fidelizzato il pubblico degli estimatori del nostro agroalimentare, materie prime o prodotti lavorati che siano?”. Da queste riflessioni, e in seguito alle idee e alle superlative professionalità di Piero Cantore – chef, sommelier, scrittore enogastronomico di S. Maria Capua Vetere, ormai silano di adozione – e Pascal Barbato – mastro fornaio d’antica stirpe, sei generazioni che in quel di San Marco in Lamis sfornano bontà quotidiane – con l’intervento fattivo di Franco Papa e Monika Sannicola del Bohemian Restaurant di Mormanno, si arriva all’ideazione del brand e alla creazione dei primi prodotti che materializzano, è bene sottolinearlo, la visione che l’APCI ha di ogni territorio in cui opera. E così viene fuori il panettone alla ‘nduja, presentato con gran successo durante la tappa dell’ultimo Giro d’Italia a Camigliatello Silano.

Ma dal magico cilindro dei nostri prestigiatori stanno per venire fuori altre prelibatezze come il panettone alla ‘nduja e cioccolato fondente e alla ‘nduja e frutti di bosco, mentre sono in corso, con la riconosciuta capacità diplomatica del Pucci, ricerche di collaborazione con produttori di altre chicche del territorio calabrese come zafferano, liquirizia, cipolla di Tropea, aglio di Laino Borgo e chissà cosa altro verrà fuori  dalle alchemiche menti dei nostri Fantastici Cinque. Va da sé che a questo prelibato food sarà d’uopo accostare un beverage altrettanto adeguato; sono già in corso prove e tentativi di … matrimoni con vini e birre, rigorosamente made in Calabria. Ma siamo certi che gli sponsali ci saranno e saranno proprio nozze d’amore, specialmente col vino. Non fosse altro per ricordare che, come racconta la leggenda, prima che Magna Grecia siamo stati Enotria.