LA SARDELLINA, UNA TRADIZIONE GASTRONOMICA DA DIFENDERE.

Di Marilia Argentino

Ai turisti che amano trascorrere le vacanze nelle accoglienti località balneari delle coste dell’Alto Ionio calabrese sarà senz’altro capitato di assaggiare uno dei più succulenti prodotti tipici della regione: la sardella o sardellina, meglio conosciuta come il “caviale dei poveri”, un’antica ricetta tramandata di generazione in generazione nel corso di secoli.

Si tratta di una salsa a base di bianchetti (i pesciolini neonati di sarda, acciuga o occasionalmente triglia) e di peperoncino rosso, dolce o piccante, conservata con sale e spezie e successivamente condita con olio extravergine di oliva. L’ideale è spalmarla su una fetta di pane o, in alternativa, su triangolini di pancarré per preparare invitanti tartine da servire in occasione di feste e compleanni.

Più di un comune rivendica la paternità di questa prelibata pietanza, da Trebisacce a Corigliano-Rossano, da Cariati a Cirò Marina, per finire a Crucoli, dove ogni anno ad agosto è la protagonista indiscussa di una sagra nel centro storico.

Con il termine “sardella” ci si riferisce non solo alla salsa tipica, ma più genericamente al bianchetto, ossia al novellame di pesce azzurro pescato nel Mar Mediterraneo, da non confondere con specie ittiche come il cicerello (“cicinella” o “cicinedda” in dialetto calabrese) o il rossetto (“russulilla”), che presentano dimensioni maggiori del novellame, ma che restano di taglia piccola anche in età adulta.

In realtà, il nome con cui questo pesciolino è conosciuto varia di zona in zona: nella Calabria tirrenica e in provincia di Reggio Calabria si usa molto dire “nannata” (neonata), nella provincia di Cosenza si dice “rosamarina” (in onore alla sarda, definita la “rosa del mare”), mentre “biancumangiari” (bianco mangiare) è usato nei comuni di Gioiosa Ionica, Grotteria, Locri, Ardore, Fabrizia, Cerenzia, Sersale, Siderno e altri ancora.

Protagonista di diverse ricette della cucina mediterranea, il bianchetto riscuote grande successo se utilizzato nella realizzazione di frittelle o se marinato con olio EVO e limone.

Ad un esame visivo i bianchetti si presentano come una massa traslucida che sembra gelatinosa e ciascuno di essi misura pochi millimetri di lunghezza.

In base al periodo dell’anno è possibile trovare bianchetti di sardina o di acciuga: d’inverno nel primo caso, tra la primavera e l’estate nel secondo.

Un tempo la pesca commerciale del novellame era regolamentata da appositi decreti ministeriali che ne consentivano la pratica una sola volta all’anno nel periodo tra dicembre e aprile. Con il DM 225 del 1996, però, l’Unione Europea ha vietato la pesca di novellame di pesce azzurro da destinare al consumo umano. Decisione, questa, ulteriormente ribadita con l’entrata in vigore del Regolamento Mediterraneo n°1967/2006, che ne proibisce non solo la cattura, ma anche la detenzione a bordo, lo sbarco, il trasporto, l’immagazzinamento e la vendita.

Su raccomandazione delle più importanti organizzazioni mondiali a difesa degli animali e dell’ambiente, infatti, la legislazione attuale persegue l’obiettivo di rendere la pratica della pesca quanto più sostenibile e responsabile. A tal fine, risulta essenziale il rispetto dell’ecosistema marino, della sua biodiversità e del ciclo riproduttivo delle specie ittiche; da qui l’urgenza di tutelare i pesciolini neonati, che devono aver modo di superare lo stadio larvale e di svilupparsi per compiere il loro ciclo di riproduzione.

Ad oggi, il novellame può essere pescato in deroga se destinato al ripopolamento naturale o all’acquacoltura, ma non al consumo umano.

Capita spesso di trovare in pescheria o al supermercato il pesce ghiaccio, surrogato del ben più pregiato bianchetto. Il pesce ghiaccio è un pesce d’acqua dolce proveniente dalle Filippine o dalle acque salmastre della Cina, d’aspetto simile al bianchetto e al rossetto, ad eccezione dei suoi occhi neri ben evidenti, ma qualitativamente molto inferiore a essi. Il suo prezzo oscilla tra i 2-3 € al kg, ma talvolta c’è chi commette frode alimentare spacciandolo per bianchetto o rossetto e vendendolo ad un prezzo più elevato.

Ciò avviene perché, essendone vietata la vendita, il bianchetto è ormai introvabile e non mancano, purtroppo, i truffatori abili nell’inganno pronti ad approfittarne.

Così come non mancano considerevoli carichi di novellame catturato illegalmente e destinato al mercato nero, che la Guardia costiera e la Guardia di Finanza riescono in parte a rilevare e sequestrare.

Se da una parte è positivo il fatto che vengano messe in atto pratiche più ecosostenibili per il bene del pianeta, dall’altra è però anche vero che ci si è dovuti privare, a malincuore, di una prelibatezza della nostra cultura gastronomica, i cui tentativi di emularla e sostituirla risultano impietosamente vani.

Senza contare le famiglie di pescatori che popolano i nostri borghi marinari, la cui unica fonte di reddito proviene dalla vendita del pesce pescato, e che hanno subito un notevole calo di guadagni a partire dal 2010, anno in cui la deroga di pesca di novellame nei mesi invernali concessa dall’UE alla Calabria venne ritirata.

La politica locale si è interessata a lungo della questione e, finalmente, dopo anni di richieste andate a vuoto, la Regione Calabria ha ottenuto dal Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali l’autorizzazione alla campagna sperimentale di pesca della sardella con la sciabica.

Le sciabiche sono reti a strascico che vengono ancorate all’imbarcazione a pochi metri dalla riva e tirate a mano dai pescatori stessi.

Il progetto ha avuto inizio a febbraio 2021 ed il primo peschereccio partito è salpato dalle banchine del porto di Corigliano-Rossano, alla presenza dell’assessore regionale all’Agricoltura, Caccia e Pesca Gianluca Gallo, del direttore generale del Dipartimento Agricoltura e Risorse Agroalimentari Giacomo Giovinazzo e del presidente del Gal “Borghi marinari dello Jonio” Cataldo Minò.

Si tratta per il momento di una fase sperimentale che durerà due anni e che prevede la pesca di sardella nei soli mesi invernali e per soli fini scientifici, i quali non includono il commercio finalizzato al consumo umano (il prodotto pescato è stato interamente devoluto in beneficienza).

Nello specifico, la campagna sperimentale avrà lo scopo di verificare tempi, luoghi e modalità di pesca, in ordine alla composizione del pescato e alla struttura demografica dei giovanili di sardina.

Il tutto in vista di una futura richiesta di autorizzazione della pesca di sardella anche a fini commerciali, come deroga ai divieti in vigore dal 2010, da sottoporre alla Commissione Europea.

Si lavora per raggiungere un punto di equilibrio che, da un lato, tuteli il già fragile ecosistema marino e, d’altro canto, rispetti le necessità di una terra che ripone nella pesca grandi prospettive di crescita economica.

Ciò preserverebbe una storica tradizione culinaria, un prodotto gastronomico che merita di essere difeso, un ritorno alle tradizioni che rafforzerebbe il marchio made in Calabria e che tornerebbe a deliziare i palati dei calabresi e dei turisti che scelgono di visitare la nostra regione anche per l’eccellente patrimonio gastronomico che essa offre.